Articolo del Socio Gerardo Pelosi, pubblicato da “Il Sole-24 Ore” del 16 aprile 2013, che ha intervistato un altro nostro socio (Cucchi), partecipante alla drammatica maratona di Boston.
Maratona Boston: quel sogno di tutti i runners. Sopravvisuto a due guerre mondiali
di Gerardo Pelosi
Quella che va in scena ogni anno il terzo lunedi di aprile sulle colline del Massachusetts tra la cittadina di Hopkinton e il centro di Boston, a Copley Square, è molto più di una corsa, molto più di una normale maratona. È un rito antico di cultura sportiva, un’esperienza formativa unica e indimenticabile nel resto della vita per tutti coloro che l’hanno corsa come può testimoniare chi, come scrive, è stato ammesso a parteciparvi per due volte, nel 2007 e nel 2009.
Non è solo il fatto che si tratta della più antica, difficile e selettiva maratona del mondo (con tempi di qualificazioni molto rigidi) e il fatto che si sia corsa anche durante gli anni difficili delle due guerre mondiali. È (non vorrei mai scrivere “era”) l’ultimo solido baluardo di quell’ ultimo pezzo di classicità che John Graham della Boston Athletic Associations recuperò dalle Olimpiadi di Atene del 1896 e trasferì in quella parte di America da dove era cominciata la Rivoluzione dei “patrioti” con le battaglie di Lexington e Concorde ricordate ogni terzo lunedì’ di aprile nella festa nazionale del Massachusetts del “Patriots’ Day”. Insomma una corsa nel tempo diversa da tutte le altre competizioni davanti alla quale non ci si può avvicinare se non con religioso rispetto. Tutto, dal ritiro del pettorale nel grattacielo Prudential, alle file davanti agli schoolbus gialli la mattina della gara all’alba da Copley Square per arrivare alla partenza di Hopkinton e poi l’ingresso nei corrals (le gabbie di partenza), tutto viene fatto con grande cura e circospezione.
È come entrare in un museo, varcare la soglia del Pergamon di Berlino o attraversare le colonne del Partenone. Era tutto questo che le menti assassine volevano colpire? Era questo simbolo che andava ferito? Erano quei runners e quegli spettatori, sacerdoti disarmati di quella cerimonia che andavano puniti? Non New York, la giovane e ultragettonata maratona (quest’anno rimandata per l’uragano Sandy) ma l’Università della corsa nella culla dell’educazione mondiale a poche centinaia di metri da Harvard e dal Mit, giusto dall’altra parte del fiume Charles. Quando si è avvertita la prima esplosione a pochi metri dalla finish line il tabellone del tempo ufficiale segnava il tempo di 4 ore 9 minuti e 44 secondi. Erano passate già due ore dall’arrivo dei top run e del primo tra gli uomini, l’etiope Lelisa Desisa. Arrivi isolati, corse di piccoli gruppi. Non la grande massa dei runners che si sfidano nei rush finali per restare sotto le 4 ore di gara. Era il cuore del rito che andava colpito, la festa dei runners, la loro felicità e incredulità che gli si legge all’arrivo dopo 42km. Era quell’innocenza che andava spezzata.
«La velocità mi ha salvato la vita» mi dice al telefono nella notte Fred Cucchi, avvocato d’affari inglese che lavora a Roma dove si allena con i runners del Circolo Canottieri Tevere Remo e che, nonostante i 60 anni ha chiuso la gara in 3 ore e 45 minuti tagliando il traguardo 15 minuti prima dell’esplosione. «Un colpo sordo – dice Cucchi – non fortissimo dalla parte delle tribune mentre avevo già al collo la medaglia e mi stavo dirigendo verso i camion per recuperare la sacca con gli indumenti, poi una seconda esplosione, ho visto scene di panico, scarpe da corsa con dentro i piedi spezzati, sangue e detriti, paura per altre esplosioni e incertezza su dove cercare riparo».
Una cosa è certa: d’ora in poi le 26,2 miglia della maratona di Boston non saranno più le stesse. La gara ultracentenaria ha ormai il cuore spezzato. E non sarà quello della Heartbrake Hill, comunemente denominata la collina dell’infarto ma in realtà simbolo del cuore spezzato di Johnny Kelley, eroe di Boston 61 volte al traguardo (due volte vincitore e tante volte tra i primi dieci) che su quella collina fu sorpassato dal suo avversario. C’è una statua ai piedi della collina che ritrae Kelly giovane che abbraccia Kelley anziano. Alla vogilia della gara uno dei riti è spolverare le scarpe di bronzo della statua di Kelspolvero. L’anima del rito sopravviverà anche al terrore criminale.
16 aprile 2013